La raccolta di firme contro la liberalizzazione della S. Messa tridentina lanciata da Don Paolo Farinella, insieme al tono saccente e manicheo del suo appello, porta a riflessioni che superano il dato contingente del rito antico più o meno libero o più o meno utile pastoralmente (e su quest’ ultimo punto tanto si potrebbe dire anche del rito “moderno”). Lo superano ma non lo eliminano, come sarà chiaro più avanti; per ora basta esaminare il contenuto dell’appello dal semplice punto di vista di chi crede in Gesù Cristo, Verbo incarnato e vede o si sforza di vedere nella Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica la continuazione e la realizzazione dell’ insegnamento cristiano.
Prima di tutto ci si chiede il motivo del fiero opporsi alla “liberalizzazione” di quella che per circa 400 anni e, senza considerare i ritocchi marginali, per molti più secoli e fino agli anni sessanta è stata la liturgia “normale” della Chiesa Cattolica: si può davvero pensare che quel rito sia così aberrante dal punto di vista dottrinale da dover essere addirittura vietato nella stessa Chiesa al pari di quella letteratura compresa nel “sillabo” che oggi si rimprovera come elemento di intolleranza? No, non può essere questa la risposta, tanto più che il riferimento esplicito è politico:
“Dietro al ripristino del messale di Pio V si cela e nemmeno tanto, il progetto di un ritorno alla «Chiesa-cristianità» di stampo medievale. Proliferano infatti, gruppi le cui organizzazioni sono strutturate in modo autoritario e manu militari: «milites et legiones» da inviare contro «il mondo» per affermare «il Regno di Cristo» in terra, possibilmente con governi cattolici che fungano da braccio secolare nella difesa degli interessi di reciproca utilità. Questi gruppi e sètte, finanziati a livello internazionale da uomini, agenzie e interessi di estrema destra, oggi hanno il consenso e il riconoscimento formale dell’autorità religiosa che così abdica al suo dovere di discernimento in forza del mandato apostolico.”.
Gran brutte parole, false perché riflettono una convinzione personale non dimostrata, offensive e parziali. A parte il fatto che un’organizzazione strutturata in modo autoritario è funzionale a tutti i gruppi di potere e che l’autoritarismo è una costante degli sbocchi “di sinistra”, come la tragedia del comunismo internazionale ha ampiamente dimostrato, l’autore avrebbe il dovere di precisare quali agenzie abbiano il consenso dell’autorità religiosa e di quali interessi si tratti: per consentire il discernimento a tutti in forza della fede e della ragione e non solo alla gerarchia cattolica e per impedire all’ oscurantista (boh?) e controrivoluzionario (questo sì) che scrive queste note di usare, in piena convinzione, un argomento così evidentemente “progressista” che non dovrebbe dispiacere a chi, con altrettanta convinzione, vede nelle ideologie e nella politica di quello stampo la possibile realizzazione della pratica cristiana. A meno di sostenere che soltanto la politica “di destra” è sbagliata e che soltanto quella “di sinistra” è giusta, a prescindere da tutto, ma la speranza è che questa pericolosissima idea non sia patrimonio del nemico del latino; a meno che, oppure, non si voglia adombrare il “complottismo” (argomento che, con riferimento ad attori diversi, è rintracciabile in un’area che non sembrerebbe proprio quella Don Paolo).
Il punto, comunque, è proprio qui: può la politica, di ogni tipo e colore, essere il primo e principale sbocco della pratica cristiana e cattolica? La risposta non può essere che negativa, per molti motivi compreso quello che, in caso contrario, dovremmo registrare la grave mancanza di un partito cattolico, che in effetti è esistito senza essere ne’ di destra ne’ di sinistra ma che non sembra molto rimpianto da Don Farinella; se invece cristianesimo e cattolicesimo non hanno un senso o lo hanno soltanto in termini sociali dobbiamo registrare, oltre la solita ma più grave mancanza di un partito cattolico, che l’appellativo di prete, compreso quello riferito al Prof. Farinella, è eccessivo e fuorviante.
L’alternativa è che lo sbocco politico sia quello di un cammino di fede e ragione, di opere e di atteggiamenti, che porti però al legame con Cristo e per Cristo e non con e per questo o quel partito, gruppo o movimento. L’impegno politico è allora legittimo e doveroso, a vari livelli, caratterizzato da coerenza tra saper essere e saper fare, riferito ai valori dai quali vengono diritti e doveri, centrato sulle persone come soggetto degli stessi. Emerge la necessità di caratterizzare un cammino fondato su Cristo, verso l’uomo perché verso Cristo e non, genericamente ed ideologicamente il contrario; se, come afferma don Farinella,
“un rito non vale l’altro e l’uno e l’altro pari non sono perché dietro ogni rito che è espressione della fede della Chiesa universale (lex orandi, lex credendi) sta la coscienza che la Chiesa ha di se stessa e quindi la concezione della propria ecclesiologia” vale la pena di affrontare l’argomento evitando e confutando le semplificazioni sociologizzanti contenute sopra e nel seguito dell’appello: “Quella di Pio V non è la stessa di quella di Paolo VI perché esprimono due visioni opposte. La prima è clericocentrica perché concepisce la liturgia prevalentemente come ritualità di rubriche che ha nel sacerdote il fulcro e la chiave della mediazione, espresso nel segno dell’altare non rivolto al popolo. La seconda partendo dal concetto che la liturgia è atto sacramentale che esprime il mistero di Cristo (cf Conc. ecum. Vat. II, Costituzione sulla Liturgia, SC 2), la presenta come azione di tutta la chiesa: l’altare rivolto al popolo è il segno «visibile» della centralità di Cristo a cui converge tutta l’assemblea-chiesa «convocata» alla duplice mensa della Parola e del Pane (SC 51 e 56).”.
Niente di più falso. Intanto è utile ricordare che la liturgia deriva dall’insegnamento di Cristo, dalla teologia e dalla tradizione, non certo dall’ autocoscienza della chiesa; guai se fosse così, visto che il termine è mutuato dalla psicanalisi e non dalla teologia e che la coscienza del se’ è un epifenomeno dell’es, la “punta dell’iceberg” di un processo profondo e scarsamente o per niente conoscibile. Soltanto con orrore si può pensare ad un corpo sociale chiuso nella riflessione su se stesso, nell’interrogarsi sulla percezione delle sollecitazioni esterne e magari, come Woody Allen, sull’utilità di un processo terapeutico durato quarant’anni (ogni riferimento a fatti o avvenimenti è puramente casuale) nei quali “l’unico cambiamento è avvenuto nel conto in banca dello psicanalista”.
In secondo luogo è da sfatare il mito del “clericocentrismo” legato all’orientamento del celebrante: se il celebrante, come il popolo, è rivolto al tabernacolo, la liturgia è cristocentrica, non clericocentrica, per lo meno non più di quanto sia “tramvierecentrica” la posizione dell’autista dell’autobus. Nella S. Messa tridentina lo spazio per il clero è ridottissimo; anche se il celebrante (sempre uno solo, si ricordi) agisce come Alter Christus i gesti e le parole non consentono la minima creatività, categoria utile in certi campi e cara ai marxisti anche in molti altri; al di là dell’omelia quello tridentino è un rito tanto poco clericocentrico da rendere irrilevante la figura umana del celebrante: tutto è imperniato sul rinnovamento del sacrificio. Personalmente ho la sensazione di una comunità in cammino verso Dio, con ritmi, modalità individuali e tempi differenti.
Giova infine ricordare, a proposito dell’orientamento nella liturgia, che fin dall’antichità celebrante e fedeli erano rivolti a oriente (simbolicamente a Cristo, l’ oriens ex alto del Benedictus ) e successivamente al tabernacolo, cioè a Cristo; nelle basiliche romane, con le porte a oriente e quindi l’altare rivolto nella stessa direzione, erano i fedeli a dare le spalle al celebrante, ma l’orientamento era lo stesso, come ogni sacerdote che ritenga importante la liturgia dovrebbe ben sapere.
Assai più clericocentrica è la posizione “coram populo”, che pone al centro della “scena” non Cristo ma il sacerdote, il celebrante anzi il presidente, quando i presidenti non sono addirittura cinque o sei. Lì sì che il clero è in primo piano, tra l’altro con spreco di risorse visto il numero sempre più esiguo di sacerdoti; quando poi i presidenti celebrano (o concelebrano) vestiti da clown o con la maschera del wrestling, con le bandiere di qualunque tipo sull’altare o davanti alla croce, quando cantano “Non si sa chi era/ non si sa chi fu/ ma si chiamava Gesù” (e meglio sarebbe stato/ studiare un po’ di più…), quando usano piattini e bicchieri di plastica usa e getta per contenere il Corpo e il Sangue di Cristo, quando consacrano pane e mortadella, quando nelle omelie si parla di tutto fuorché di Gesù (d’altra parte, non sapendo chi era…), quando il peccato si stempera in psicologismi e sociologismi, quando il problema è la società e non la persona, quando ognuno è sempre e soltanto vittima della società e mai di se stesso, allora il clericocentrismo creativo è un modo per “catturare” , per attirare, ed il rito, col prete che dice le stesse parole, fa gli stessi gesti e solletica le stesse attitudini, diventa pericolosamente antropocentrico quando non anche solipsistico; proprio lì, non nell’uso del latino, sta la magia, l’affabulazione, il non far capire, il rischio che il sacerdote, da alter Christus del sacrificio diventi alter Christus della parola (e della scena).
Colpa del Concilio Vaticano secondo che sarebbe difeso dall’appello? Per carità, lasciamo perdere… il Concilio Vaticano secondo ritenne opportuno aggiornare la liturgia raccomandando di conservare la preminenza del latino, il “novus ordo missae” fu successivo alla chiusura del concilio ed andò ben oltre il mandato. Chi, quindi, difendendo l’esclusività del “novus ordo” ed opponendosi al rito tridentino, ritiene o dice di difendere il Concilio Vaticano secondo, sbaglia oppure mente, oppure fa entrambe le cose difendendo una libertà liturgica che ha portato a vere e proprie aberrazioni, altro che autocoscienza ecclesiologica. Questa dovrebbe essere il più possibile personale e solo successivamente sociale; occorre prima la conversione personale, se non c’è questa non c’è niente, non esiste una base per costruire una comunità, non esiste la condizione per parteciparvi; se il cristiano non è diverso dal mondo, se non ricorda che in questo mondo sta vivendo lo straordinario e non l’ordinario, se non ha il coraggio di testimoniarlo, a che cosa gli serve essere cristiano e cattolico? Si può essere filantropi in vario modo e maniera, si possono fare cose per il prossimo, si può fare il bene e combattere il male, ma che cosa sono bene e male? Da dove parte la filantropia e dove si arresta? Da quale visione di uomo e di società sono determinati gli atti, e che cosa determinano e quale visione sottendono a loro volta?
Categorie come la politica e le ideologie sono più che sufficienti ma si rivelano scorciatoie pericolose, che mettono a fuoco soltanto un aspetto ed un punto di vista e sfociano inevitabilmente nel male quando non addirittura nell’eresia, privilegiando ora il contesto ora il valore, senza mai tenere presenti entrambi; solo in Cristo c’è la risposta completa ma il cammino verso la risposta non è così semplice, allora si ripropone il problema: esiste un rito “pastoralmente” più opportuno, ne esiste uno dottrinalmente migliore?
Alla seconda domanda si potrebbe rispondere che il rito tridentino è più chiaro e non presenta alcune ambiguità del “novus ordo”, determinate anche da qualche traduzione che, precisa in termini dogmatici, può non esserlo altrettanto in termini storici e letterari (vedi il “per molti” e “per tutti” in un altro post su questo blog), il che rappresenta anche un ulteriore elemento a favore dell’uso del latino; sull’utilità pastorale non saprei che cosa scrivere: certo i dati dagli anni ’70 ad oggi non sono esaltanti anche se dare la colpa alla messa è fare come quel parroco che rimproverava i presenti per l’assenza degli altri. Ecco, non vorrei che Don Farinella e tutti coloro che pensano di fare il bene della Chiesa con i divieti e le censure cultuali (e culturali) si trovassero un giorno, dopo tanto e troppo antropocentrismo, nella stessa posizione. Personalmente credo che il raccoglimento, la sacralità, la sobrietà della della S. Messa tridentina aiutino la partecipazione e la comprensione, oltre che la consapevolezza e la crescita, meglio di quanto non faccia il “novus ordo”, anche in situazioni di maggiore normalità rispetto alle aberrazioni segnalate prima; naturalmente, per altri, può essere vero il contrario. Stabilito, comunque, che una pluralità di riti è possibile, non si vede ragione per vietarne uno a favore dell’altro.
Del resto, come conciliare l’appello contro la liberalizzazione della S. Messa in latino con quanto invocato nello stesso su “l’autonomia e la libertà delle comunità in materia organizzativa e cultuale; la liturgia «cattolica» come unità nella varietà delle lingue, della sapienza e del genio di ogni popolo.”? Soltanto ritenendo con le parole conclusive di Don Farinella, con le quali c’è piena e diversa concordia, che sia “…sintomo di paura, peccato di superbia e sfiducia nello Spirito Santo che oggi, secondo questi «profeti di sventura» non saprebbe parlare più come invece ha fatto nel passato, nonostante Cristo sia «lo stesso ieri e oggi e nei secoli» (Eb 18,3). Oggi più che mai vale il grido di Cristo agli apostoli spaventati, fatto proprio dal papa Giovanni Paolo II nel giorno d’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura!» (Mc 6,50). Noi non abbiamo paura.”.
Appunto, non abbiamo paura. Non praevalebunt!
N. B. i link per le immagini sono a siti, a mio avviso, dal contenuto non sempre interamente condivisibilie tuttavia non mendace.
7 commenti
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aprile 7, 2007 a 12:41 PM
Oscar
sono un ragazzo di 15 anni, e secondo me il rito “creato” dopo il concilio vaticano secondo é ridicolo.
Il sacrificio va offerto solennemente a Dio ( verso il tabernacolo ), e non in modo “circense” al popolo!!!
aprile 7, 2007 a 3:20 PM
adaltaredei
Beh, direi di sostenere in positivo le nostre ottime ragioni, che sono molte, facendo attenzione a non cadere nell’errore dei Farinella o dai Ratti (Franco, ovviamente) di turno, secondo i quali la Chiesa sarebbe iniziata dal C. V. II, oltretutto con la tendenza efficacemente sintetizzata nell’ “ignorare ciò che di quei documenti (del Conc: Vat. II) non piace e interpretare il resto secondo lo spirito del concilio, attribuendogli tutte le intenzioni che i padri avrebbero espresso se più illuminati, coraggiosi, attenti ai segni dei tempi” (qualcuno aggiungerebbe anche “democratici”).
Quindi credo sia bene evitare con Paolo VI quello che Farinella fa con S. Pio V e si appresta a fare con Benedetto XVI, cioè disconoscerne l’autorità insieme alla piena validità dei documenti firmati, compresi i Messali.
Detto questo, quando l’esercizio della creatività (guarda caso tanto cara all’ateismo marxista…) di certi sacerdoti si traduce nelle immagini reperibili su “traditio” o “unavox” con consacrazione della mortadella, celebranti (sorry, “presidenti”) mascherati da pagliacci o da wrestling, con bandiere al posto del crocifisso, con piatti e bicchieri usa e getta al posto di calice e patena, ebbene non per il novus ordo ma per quelle manifestazioni termini come “ridicolo” e “circense” non solo non sono offensivi ma diventano espressione troppo benevola di una carità degna di ben altri oggetti.
Spero di rileggerti presto!
aprile 5, 2008 a 10:59 PM
PARISI PIETRO STANISLAO
don farinella e’ spiccatamente di sinistra,tutti l’avranno capito.
Si eliminino gli altarini versus popoulum,vero obrobrio architettonico!
giugno 20, 2008 a 1:31 am
Massimo
Ma abbiate almeno il rispetto per una decisione presa in un concilio, dove tutti i vescovi e i cardinali hanno deciso di rimettere il Popolo di Dio nella giusta dimensione, quella originale Cristiana.
Cristo al centro e sullo stesso piano, come uomo con gli uomini, Battezzato nello S. Santo da Giovanni il Battista e nella Comunione con tutti coloro che mangeranno il Suo insegnamento fino all’ultimo degli ultimi.
Papa Giovanni 23° un vero pastore, grande figura carismatica, illuminato e portatore, in un mondo corrotto, delle solide basi di Cefa, della chiesa del Cristo incarnato, Messia di verità, di vita, il quale attraverso Lui ci indica la Via per arrivare al Padre.
Gesù non è mai indietreggiato davanti a Mammona ne dal pinnacolo più alto dove il demonio lo invitava al potere materiale sul mondo, Egli è andato avanti fino al sacrificio supremo, e lo ha fatto per gli ignavi, i pigri, i disattenti, i confusi. Perche nessuno possa dire nell’ultimo giorno – io non sapevo! Credo che negli ultimi secoli due cose sono state le più importanti, la traduzione della Bibbia in Volgare e il Concilio Vaticano 2°.
Quanti ne hanno beneficiato nell’anonimato oggi ringraziano Dio.
Il Pastore è venuto per parlare alle sue anime, per cercare ognuno di noi nel più intimo profondo, non si è nascosto, si è fatto riconoscere nudo nella sua umanità semplice e aperta, parlando ad ognuno nella lingua e nei modi più comprensibili, per raggiungere anche i sordi e i ciechi, e la sua Croce è l’immagine viva dello Splendore per cui ci ha riscattati.
Se i nostalgici del potere temporale, della monarchia e della nomenclatura Vaticana vogliono si parli in una lingua non più popolare e in disuso tra le genti, lo facciano pure nel loro ambiente, ma che non si ritorni all’oscurantismo clericale, Iddio ce ne scampi e liberi, oggi più che mai, nel ritorno dell’idolatria e del paganesimo almeno si parli chiaro a chi ci ascolta, non solo nella liturgia ma soprattutto nelle strade e nelle piazze.
luglio 16, 2008 a 1:24 am
adaltaredei
Per opera di misericordia spirituale:
può dirci in quale concilio e con quali documenti “tutti i vescovi e i cardinali hanno deciso di rimettere il Popolo di Dio nella giusta dimensione, quella originale Cristiana”, che cosa ciò significhi e qual era la “dimensione” precedente?
Cristo al centro, d’accordo, ma sullo stesso piano di chi?
Sul Vaticano II non c’è molto da dire, moltissimo invece su quello “spirito del Concilio” che i più (non tutti, Deo gratias!) hanno citato a sproposito per giungere a conclusioni che col primo non avevano nulla a che fare, arrivando ad interpretarlo come novità e rottura formale e sostanziale netta ed irreparabile con un passato negativo; rottura che, laddove è stata più convintamente perseguita (la Francia ne è un esempio lampante), ha prodotto danni spirituali (con un progressivo abbandono della liturgia “riformata” e della Chiesa “rinnovata”, sempre più sostituite da una “religione bricolage”) e di conseguenza anche culturali e sociali, quelli sì privi di qualunque continuità col passato se eccettuiamo le dottrine teosofiche e alcune correnti gnostiche; novità che portò Paolo VI a parlare di “fumo di Satana” nella Chiesa e che per le aspirazioni “pseudosociali” di Don Farinella sono ancora troppo lontane dalla realizzazione e troppo in continuità col bieco passato.
Quanto al resto, francamente, percepisco una giustapposizione di luoghi comuni, e frasi fatte che, unite a qualche anacoluto, poco hanno a che fare con il parlare in una lingua comprensibile; giustapposizione peraltro operata dal Farinella nel suo inqualificabile appello, da Lei apparentemente condiviso, nella commistione tra ecclesiologia, teologia, liturgia e prassi politico-sociale sostanziata, alla fine, in una precisa scelta politica che -a proposito dell’ oscurantismo clericale da Lei giustamente aborrito- ha trovato il culmine nella recente campagna elettorale con l’indebita collocazione della Vergine Maria tra gli sponsor elettorali del centrosinistra.
Ma questo, evidentemente, corrisponde al rinnovato e rinnovando cammino della Chiesa.
Per tornare alla liturgia, comunque, è bene ricordare che il Concilio Vaticano II ha voluto mantenere la preminenza del latino, lingua che proprio Giovanni XXIII ha ritenuto superiore, a tale proposito, alle lingue volgari, e che la celebrazione spesso “spalle al Signore” e comunque sempre “pretentecentrica” è innovazione successiva e disancorata da qualunque documento conciliare.
Accordo perfetto sul parlare chiaro nelle piazze e non solo, ma per le questioni liturgiche la maggiore chiarezza, per noi, viene dall’uso del latino, lingua morta e pertanto incorruttibile. Certo esiste il problema dela comprensione ma la traduzione (presente nei messalini, nei propri e negli ordinari) lo risolve e sottolinea comunque un adattamento linguistico di concetti che restano uguali e immutabili. Che bisogno ci sarebbe stato, altrimenti, di correggere il “non ci indurre in tentazione” del Padre Nostro con “non lasciarci cadere…” quando nella Scrittura “inducere” solo una volta ha il significato di “indurre” o “spingere”, mentre in tutti gli altri casi significa “consentire”?
Detto questo, ed a proposito di “consentire”, sembra che Paolo Farinella, e qualcuno con lui, non abbia capito che il Motu proprio del Santo Padre “consente” la celebrazione secondo il rito antico ma non la impone a chicchessia, in pieno accordo con le conclusioni del commento precedente ma non con il disgraziato (nel senso etimologico del termine) appello, teso da una parte ad esaltare la democrazia e la collegialità e, dall’altra, a negare le stesse quando possano reintrodurre l’uso del rito antico.
Quanto infine all’invocato rispetto per una decisione liturgica NON PRESA IN ALCUN CONCILIO, perché non invocare rispetto per le decisioni del Santo Padre e per quei fedeli che, nel clima democratico e collegiale descritto, argomentano a favore dell’uso di un rito senza insultare o disprezzare nessuno e senza orientare la discussione, a differenza del Farinella, in argomenti più partitici che politici?
luglio 3, 2009 a 7:14 PM
Giuseppe77
Io credo che a tanti anni di distanza dal concilio Vaticano II, si possa considerare di nuovo degno l’antico rito. Liberalizzarlo, per ora, mi sembra innopportuno perchè mi sembra venga vissuto come una bandiera ideologica. A me sembra chiaro che entrambe le messe siano valide, cattoliche e cristiane, bisogna superare questa opposizione che mi sembra sia fuori dal tempo, sia fuori dai cuori della maggior parte dei cattolici, almeno fra quelli che conosco.
ottobre 25, 2009 a 1:55 am
PIETRO STANISLAO PARISI
HO POTUTO PARLARE FINALMENTE CON DON FARINELLA,CHE TANTO PROCLAMA LE SUE CRITICHE ALL’ATTUALE GOVERNO….FAREBBE BENE AD OCCUPARSI DI QUESTIONI UN PO’ PIU’ ELEVATE,ED A STUDIARE LA STORIA ED IL VALORE DELLA TRADIZIONE,MA NON C’E’ NESSUNO PEGGIO DI CHI CREDE IN SE’ STESSO E NON VUOLE ASCOLTARE.E SE VENISSE RIMOSSO DALLA “SUA” SANTA TORPETE?SAREBBE ORA DI DISTRUGGERE QUELL’ALTARINO POSTICCIO E CELEBRARE VERSO IL CROCIFISSO,UTILIZZANDO QUEL BEL ALTARE DEL QUALE LA CHIESA E’ DOTATA.O SE NO,CHE DON FARINELLA LO VENDA….
GRAZIE PER L’ATTENZIONE.